In questi ultimi anni la tecnologia è progredita e grazie ad alcune innovazioni è diventata sempre più alla portata di tutti. Lo strumento che ha contribuito maggiormente a questa diffusione è stato lo smartphone che ha unito il concetto di telefono a quello di computer: non più solo telefonate e messaggi ma accesso a internet, posta elettronica, social network (Facebook, Twitter, Instagram, ecc.) e migliaia di applicazioni che vanno dai videogiochi alle applicazioni per il fitness, dalla gestione del bilancio familiare a WhatsApp, che consente di condividere messaggi, foto e video a un costo estremamente basso. In sintesi lo smartphone è oggi uno strumento che ci accompagna in ogni momento della giornata, lavoro incluso.

Per approfondire queste tematiche, abbiamo intervistato il dottor Matteo Monego.

Dipendenza da smartphone: quando, come, perché?

In Italia sono circa 83 milioni gli smartphone attivi e circa il 77% della popolazione ne possiede almeno uno. Fatta questa doverosa premessa, il rischio legato a un simile oggetto è abbastanza evidente: diventarne dipendenti. Effettivamente le ultime ricerche sembrano essere abbastanza preoccupanti: il 20% circa lo utilizza 6 ore al giorno, percentuale che sale drasticamente a quasi il 50% se si considerano solo persone giovani. Questi utilizzi non sono quasi mai giustificati da reali necessità (come ad esempio il lavoro), ma ruotano intorno all’utilizzo di giochi e accessi ai social network.

Alcune persone, infatti, sviluppano una sorta di attaccamento morboso nei confronti del cellulare, arrivando a isolarsi dalla vita reale fatta di persone, rapporti, dialoghi e finendo con il crearsi una sorta di identità parallela, in cui quasi ogni parte di sé viene comunicata al mondo attraverso l’uso del telefono e dei social. Queste persone finiscono col costruire i propri rapporti interpersonali quasi esclusivamente attraverso l’uso di WhatsApp, impoverendo drasticamente la ricchezza del linguaggio umano oppure “illustrando” la propria vita attraverso foto, video e commenti pubblicati su Facebook e simili.

Perché alcune persone diventano dipendenti dal cellulare?

Le cause sono sicuramente molteplici: da un lato l’uso del telefonino aiuta a mediare l’impatto emotivo che i rapporti interpersonali creano, aiutandoci a sentirci meno insicuri perché più distaccati emotivamente; dall’altro ci aiuta a sentirci meno soli e meno isolati, come se l’oggetto telefono potesse sostituirsi all’altro in carne e ossa.

Ovviamente esistono diverse tipologie di dipendenze da smartphone: c’è chi passa la maggior parte del tempo sulla tastiera del telefono diventando “schiavo” dei messaggi, chi è ossessionato dall’uscita del nuovo modello, chi è dipendente dai videogiochi (come se il cellulare fosse una console portatile) e c’è chi, infine, rimane intrappolato nei social e controlla ossessivamente i like su Facebook o quello che hanno pubblicato le persone di sua conoscenza.

Vorrei però sottolineare un aspetto per non creare equivoci: il problema non è la tecnologia ma è l’uso che ne facciamo. Un esempio: WhatsApp è un’applicazione creata per chattare e condividere in tempo reale ogni sorta d’informazione a costi estremamente contenuti: video, foto, immagini, pensieri etc., quindi di per sé è un’innovazione tecnologica pensata per rendere la nostra vita migliore. Alcuni soggetti, tuttavia, utilizzano in modo distorto quest’applicazione, controllando la vita di altre persone, verificandone talvolta ossessivamente l’ultimo accesso. O ancora, Facebook è un social network estremamente popolare che consente di rimanere in contatto con il mondo intero: per alcune persone diventa invece uno strumento di controllo in cui “spiare” chi ha messo dei like a una foto o quali amici abbia la propria fidanzata.

Quali sono i sintomi?

Pur non essendoci ancora una sorta di classificazione puntuale dei sintomi da dipendenza da smartphone in stile DSM (manuale di classificazione dei disturbi psichici), si possono ipotizzare una serie di sintomi che caratterizzano tale forma di dipendenza:

1. la maggior parte del tempo è utilizzata per attività legate al cellulare (giochi, chat, messaggi, telefonate, internet, ecc.), manifestando a volte anche sintomi fisici tipo mal di testa o fastidio agli occhi;

2. il legame con l’oggetto telefono è talmente forte che il soggetto non se ne separa quasi mai;

3. l’uso dello smartphone non è giustificato da necessità reali;

4. manifesta sintomi ansiogeni circa la durata della batteria o a fronte di mal funzionamenti;

5. utilizza il cellulare come modalità principale per entrare in contatto e gestire sia rapporti di amicizia che sentimentali;

6. il telefono è acceso tutto il giorno, anche di notte, causando persino frequenti risvegli per controllare eventuali nuove notifiche.

Quali, invece, le conseguenze?

Le conseguenze che in parte abbiamo già visto possono essere numerose e più o meno gravi.

Una di queste è la nascita, soprattutto negli adolescenti, di un linguaggio sintetico caratterizzato da un’infinità di abbreviazioni (“nn” al posto di “non”, “x” al posto di “per” anche in “perché” e via discorrendo), utilizzate per scrivere più velocemente i messaggi. L’aspetto problematico risiede nel fatto che questa modalità invade altri campi della vita (come ad esempio la scuola dove gli insegnanti lamentano lo stesso uso del linguaggio anche nei compiti scritti come i temi) fino a condizionare il pensiero, favorendone una forma eccessivamente sintetica.

È possibile che una persona finisca con l’isolarsi completamente dal mondo reale, vivendo solo attraverso una propria identità virtuale.

I rapporti sociali e sentimentali appaiono fortemente condizionati da questa tipologia di comunicazione: sono innumerevoli le incomprensioni che possono nascere in un rapporto gestito prevalentemente attraverso messaggi e chat, in cui la comunicazione viene privata di una buona parte del messaggio comunicativo legato all’espressione del volto, al tono della voce, alla postura del corpo, ecc.

Crede si possa parlare di “ansia da connessione”?

Sì, credo che in alcuni casi più gravi la dipendenza da smartphone possa essere causa di problematiche tipiche dell’ansia e come tale andrebbe affrontata consultando uno specialista.

Qualcuno le ha mai chiesto aiuto per risolvere questa dipendenza?

Nella mia esperienza non è mai successo che una persona mi abbia chiesto un consulto per una simile forma di dipendenza; molte persone che hanno problematiche legate al controllo, tuttavia, manifestano comportamenti problematici legati all’uso del cellulare. Questi atteggiamenti sono vere e proprie forme di ossessione, legate al controllo della vita altrui.

Secondo lei, dovremmo iniziare a preoccuparcene seriamente?

Non è facile rispondere a questa domanda. In generale, direi di no; dal punto di vista professionale non incontro facilmente persone che presentano unicamente questa tipologia di dipendenza. Desta allarme, tuttavia, l’osservazione di adolescenti e giovani alle prese con lo smartphone: in questi casi colpisce il totale assorbimento mentale della persona, che appare “incollata” allo schermo, per un videogioco, per mandare messaggi o per controllare la propria pagina Facebook.

È come se fossero “rapiti” da questo strumento che porta loro ad ignorare in modo quasi totale tutto ciò che li circonda. In questi casi il problema è la gestione familiare del dispositivo: in un adolescente dovrebbe essere compito dei genitori regolamentare tempi e modi di utilizzo, anche per evitare rischi ben più gravi legati ad uno uso incontrollato di internet.

E quest’ultimo punto mi permette di chiudere con un consiglio: adulti o adolescenti, indifferentemente, devono imparare ad utilizzare correttamente la tecnologia, in modo che si limiti ad essere un prezioso aiuto alla nostra vita senza renderci schiavi: in fondo “cogito ergo sum” e non “posto ergo sum“.

A tale proposito grottesco, ma interessante, il cortometraggio creato da Xie Chenglin, uno studente cinese vincitore nel 2014 del premio alla Central Academy of Fine Arts, in cui viene trattato il problema della dipendenza da smartphone.