Cosa fa sì che tante persone diventino ossessionate da una droga o da un determinato comportamento, tanto da non riuscire a fermarsi? Qual è la causa reale delle dipendenze? La droga, di qualunque tipo sia, direte voi. Ne siamo così sicuri?
Come far tornare da noi le persone vittime delle dipendenze? Decenni di proibizionismo ci insegnano che questa, probabilmente, non è la via più corretta. Le condanne penali non si stanno dimostrando utili per arginare il fenomeno, né per tutelare la salute delle persone. Forse, il problema delle droghe non è legale ma sociale. Ma allora, come procedere?
Noi di GuidaPsicologi non abbiamo la presunzione di poter rispondere a tutte queste domande, così spinose e complesse. La nostra intenzione è solo quella di offrire un punto di vista differente su una questione profondamente articolata e delicata, ma – purtroppo – sempre molto attuale. Per farlo, abbiamo intervistato il dottor Matteo Monego.
- Cosa s’intende per dipendenza da un punto di vista psicologico?
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la dipendenza psichica è «la tendenza a continuare ad assumere droga per fruire di un senso di benessere e per evitare il disagio della sua assenza».
Il tema delle dipendenze in psicologia è sempre stato trattato distinguendo la dipendenza fisica, ovvero la dipendenza dalla sostanza vera e propria, dalla dipendenza psicologica, ovvero la dipendenza mentale, slegata dalla sostanza, ma legata soprattutto all’abitudine e allo stile di vita condizionato dalla sostanza stessa.
Il confine tra le due definizioni è molto difficile da definire: con alcune droghe, come la nicotina ad esempio, quando finisce la dipendenza fisica dovuta all’astinenza e rimane solo quella psicologica? E siamo così sicuri di poter definire una dipendenza solo dal punto di vista chimico e fisico, che dipenda cioè unicamente dalla mancata introduzione di una particolare sostanza nel nostro organismo?
In alcune forme di dipendenza di fisico non c’è davvero nulla: il gioco, la tecnologia, il sesso e molte altre forme di dipendenza non introducono nuove molecole chimiche nel nostro organismo. Eppure sono forme di dipendenza altrettanto forti e difficili da eliminare, e i sintomi di astinenza molto simili a quelli di dipendenze da sostanze vere e proprie.
Dal mio punto di vista, qualsiasi “avvenimento” in grado di procurare piacere o di alleviare una sofferenza è in grado di produrre una dipendenza e di modificare alcune parti dell’essere umano, parti che possono riguardare sia la componente fisiologica e fisica che quella mentale e psicologica.
- Qual è la differenza tra la dipendenza da droghe e dal gioco d’azzardo, per esempio?
Rispetto a quanto detto finora, le differenze sono pochissime o nulle. Certo, se paragoniamo un eroinomane o un alcoolista ad un giocatore d’azzardo non possiamo non notare alcune differenze dal punto di vista fisico; alcune sostanze lasciano dei segni molto evidenti sull’organismo di una persona che spesso sono visibili anche a livello estetico.
Fatta questa premessa, le due personalità hanno moltissime caratteristiche in comune fatte salve le caratteristiche individuali: entrambi sono dipendenti da “qualcosa” di cui non riescono a fare a meno, pur conoscendo gli effetti deleteri che nella maggior parte dei casi avranno sulla loro vita; entrambi spenderanno tempo ed energie per procurarsi questo “qualcosa”; entrambi manifesteranno sentimenti di malessere se privati a lungo di questo “qualcosa”; entrambi andranno incontro a grosse modifiche della loro vita sociale e lavorativa.
- Cosa c’è alla base di una dipendenza?
Non è facile rispondere a questa domanda. Credo che i motivi siano molteplici come succede quasi sempre nelle “malattie” dell’essere umano.
Un primo motivo penso sia da ricercarsi nella particolarità della nostra specie: siamo essere viventi che già da piccoli sperimentano una condizione di dipendenza più duratura. Questo prolungato stato di accudimento predispone la nostra mente a ricercare sicurezza e benessere anche una volta diventati adulti, costringendoci a cercare “qualcosa” per assicurarci quello stato.
E così che l’essere umano incontra la sua sostanza miracolosa, cioè quel “qualcosa” in grado di garantirgli uno stato di benessere anche se solo per pochi istanti; la sua personalità, in uno stato di dipendenza, si legherà a una delle infinite sostanze in grado di assolvere allo scopo: affettività, socialità, cibo, gioco, farmaci, nicotina, cocaina, alcool, smartphone, social network, televisione, sesso, pornografia, masturbazione e chi più ne ha più ne metta…
- Negli anni ’70 un docente di psicologia di nome Bruce Alexander realizzò a Vancouver un parco per topi, ispirandosi al classico esperimento in cui un topo viene messo in gabbia da solo con due bottiglie d’acqua, una contenente solo acqua e l’altra anche eroina o cocaina. Costruì un rifugio sfarzoso dove i topi avrebbero avuto tutto: palline colorate, cibo, gallerie e tanti amici. Tutti finivano per assaggiare l’acqua da entrambe le bottiglie. Tuttavia ai topi che facevano una “bella vita” l’acqua drogata non piaceva. Generalmente la schivavano, ingerendone meno di un quarto rispetto ai topi isolati. Nessuno di loro morì. E mentre tutti i topi isolati e tristi ne facevano uso massiccio, ciò non succedeva ad alcuno di quelli inseriti in un ambiente spensierato. Da un punto di vista psicologico, pensi che la solitudine abbia un ruolo così determinante?
Sì, non posso che concordare con l’esperimento citato: più che la “bella vita” credo che per le persone la solitudine e la mancanza di affetto e di riferimenti affettivi siano fattori fondamentali per sviluppare una dipendenza verso qualcosa. È evidente che la ricchezza, la “bella vita”, i soldi e tutti i beni materiali non possano essere sufficienti ad impedirne lo sviluppo: personaggi ricchi e famosi ne sarebbero altrimenti immuni e non mi pare che questo corrisponda alla realtà.
Non è forse questo uno dei principi su cui si basano le comunità di recupero o i gruppi di auto-aiuto? Far sentire ad una persona di non essere sola, aiutandola a capire i meccanismi sottostanti la dipendenza.
- Facciamo un esempio: la stessa droga (eroina), usata nello stesso lasso di tempo, converte chi ne fa uso per strada in tossici disperati e angosciati, lasciando identici i pazienti d’ospedale. Alla luce di questo, che importanza hanno i “ganci” chimici? Bisogna forse andare oltre questa concezione che è poi la più diffusa?
Sì, credo che questo esempio ci aiuti a capire che è necessario andare oltre per poter comprendere la complessità della dipendenza e consentirci di essere davvero d’aiuto per le persone che non riescono ad uscirne.
I ganci chimici hanno importanza, ma non possono essere l’unico criterio di valutazione di una sostanza, reale o meno, in grado di produrre dipendenza. Molti altri fattori devono essere tenuti in considerazione, perché l’essere umano è molto complesso e difficilmente si adatta a schemi rigidi e spesso riduttivi.
- Il contrario della dipendenza può essere allora il contatto umano? I ganci chimici, sono forse solo un piccolo coccio all’interno di un collage più vasto? Cosa pensa a riguardo?
Non so se il contatto umano possa essere correttamente definito l’opposto della dipendenza, ma sicuramente i ganci chimici di per sé non possono essere l’unica spiegazione: molte persone, infatti, raccontano diverse esperienze rispetto ai tentativi di uscire da una dipendenza. È esperienza comune che si debba scegliere il momento giusto per smettere una determinata dipendenza: smettere di fumare, ad esempio, può essere estremamente difficile in alcuni momenti della vita e più facile in altri. O più semplice per alcune persone, e quasi impossibile per altre… e questo indipendentemente dal numero di sigarette fumate e dal tempo in cui è in atto questa dipendenza. Non credo quindi sia possibile ridurre una dipendenza al “semplice” concetto di gancio chimico ma credo sia necessario inquadrarla in contesto estremamente più ampio e complesso.
- Riabilitazione dell’individuo dalla dipendenza o riabilitazione sociale?
Anche rispetto a questa domanda non credo ci sia una risposta giusta: ogni individuo deve decidere il modo in cui essere curato, perché la fiducia nel metodo è fondamentale quasi come il metodo stesso. Sicuramente, per chi si occupa di dipendenze, l’aspetto sociale non può non assumere un’importanza vitale: è forse in quella direzione che andrebbe indagato il vuoto che un individuo cerca di colmare attraverso l’uso di una sostanza o il ripetersi di un determinato comportamento.
- Durante la tua carriera hai lavorato con tossicodipendenti? Se sì, qual è il tuo approccio? E quali le differenze, per esempio, tra dipendenza da sostanze chimiche e ludopatia?
In questi anni mi è capitato di lavorare sia con persone con dipendenza da sostanze (alcool e cocaina) sia con individui dipendenti da un determinato comportamento (ludopatia). Il mio approccio è sempre rimasto lo stesso: escludere in un primo momento la patologia per comprendere a fondo la persona che ho di fronte; successivamente, cercare di capire a quale funzione possa assolvere la dipendenza (banalmente: perché fa uso di alcool? Che senso ha per Mario?). È un lavoro non sempre facile e spesso lungo, che può aver bisogno di sostegni di altro tipo durante il percorso (ad esempio, gruppi di auto-aiuto) e che bisogna cercare di comprendere da ogni punto di vista.
Sinceramente, non trovo grosse differenze tra sostanze chimiche e altre forme di dipendenza: quello che fa la differenza è il soggetto, con il suo bagaglio e il suo vuoto, malamente riempito.