Le origini
Le cause sono complesse e ancora non completamente chiarite. Alla radice del fenomeno ci sarebbe una tendenza a rallentare le attività in coincidenza dell’inverno, quando la scarsità di alimenti e le difficoltà di sopravvivere in un ambiente più freddo, spingevano i nostri antenati in una sorta di “stand-by”. Senza arrivare all’esempio estremo dell’ibernazione, insomma, la nostra specie assumeva comportamenti adattativi per ridurre il fabbisogno calorico. La chiave di questo piccolo mistero sarebbe nascosta nel rapporto fra luce e buio. Una ridotta quantità di luce tipica dei mesi invernali influirebbe sul funzionamento dell’ipotalamo e, dunque, sulla produzione di melatonina e seretonina. Mentre la produzione della prima cresce, stimolando un senso di letargia, la produzione di serotonina diminuisce, contribuendo al senso di negatività.
Ma non è tutto, perché la preponderanza del fenomeno presso la popolazione femminile indicherebbe anche una funzione in chiave riproduttiva. “Durante l’inverno, sintomi del disordine affettivo stagionale promuovono comportamenti che portano a gravidanze più sane e rafforzano il legame nella coppia, migliorando le possibilità di sopravvivenza della mamma e del neonato”, ipotizza John M. Eagle, psichiatra del Royal Cornhill Hospital di Aberdeen in Scozia. “Alle latitudine temperate, infatti, le donne hanno più probabilità di concepire in estate per partorire in primavera, una stagione che massimizza la sopravvivenza”.
Dal Winter Blues al Blue Monday
Per Rosenthal, passare dal Sudafrica dove è nato agli Stati Uniti dove ha cominciato a lavorare è stata la miccia che ha portato alla definizione di Seasonal Affective Disorder. Ma lo psichiatra non si è fermato all’etichetta: infatti, ha notato come la sindrome si manifesti con diverse gradazioni di intensità. La versione più leggera, una sub-sindrome del fenomeno principale, è stata chiamata “Winter Blues”. “A differenza di chi è vittima del Seasonal Affective Disorder, chi soffre di Winter Blues riesce a gestire la proprie giornate, ma lo fa con difficoltà”, racconta Rosenthal che, nel 2005, ha pubblicato un saggio sull’argomento.
Quello stesso anno, l’emittente televisiva britannica Sky Travel ha calcolato che il giorno più triste dell’anno è il terzo lunedì di gennaio e ha ribattezzato la giornata “Blue Monday”. La data è la risultanza di una serie di variabili che comprendono il meteo, livello di debito accumulato durante le feste, il naufragio dei propositi del nuovo anno, il bisogno di una nuova vacanza e il basso livello motivazionale. Stando a Rosenthal, un americano su cinque soffre di qualche forma di Winter Blues e il dato è ancora più alto nel Regno Unito, con due milioni di casi e 12 in tutto il Nord Europa. Posto che il disordine affettivo stagionale ha avuto un ruolo nella nostra evoluzione, comportamenti adattativi di “risparmio energetico” sono un ostacolo nella realtà contemporanea. Ecco tre idee per invertire la rotta e sentirsi subito meglio.
Posto che la sindrome si manifesti maggiormente alle latitudini più elevate, l’Islanda fa eccezione. Alcuni ricercatori hanno suggerito che l’alimentazione possa giocare un ruolo in questo senso. Gli islandesi, infatti, consumano grandi quantità di pesce (90 chili a testa all’anno contro i 24 di Stati Uniti e Canada, dati 2007). Lo stesso avviene in Giappone: consumo medio di 60 chili e bassa incidenza della Sindrome. I pesci, infatti, sono ricchi di vitamina D e contengono Dha, un acido grasso semiessenziale della serie Omega3 che sostiene una serie di funzioni neurologiche. Analogamente, attenzione agli zuccheri che, generando un picco glicemico, impattano negativamente sull’umore e spingono a ripetere l’assunzione. Meglio, dunque, dare la precedenza ai cosiddetti “alimenti del buon umore”: verdure a foglia verde, frutta secca, cereali integrali e alimenti ricchi di proteine.
2) Attenzione alla luce
Per chi soffre di SAD, esistono lampade terapeutiche prive di luce ultravioletta che assicurano l’assunzione di una quantità extra di luce. Per il Winter Blues, secondo Rosenthal, bastano i rimedi naturali: “Uscite a fare una passeggiata nei giorni di sole. È vero che stati depressivi impattano sulla motivazione, ma mettersi in movimento, magari chiedendo aiuto a un’amica, rafforza l’abitudine”. Meglio scegliere le ore in cui il sole è più alto – la pausa pranzo, per esempio, è perfetta – perché la luce è più brillante che a fine giornata. Analogamente, bisogna considerare l’effetto della luce degli schermi: la luce blu di cellulari e computer impatta sulla produzione di melatonina, con conseguenze negative sulla quantità e qualità del sonno che, a loro volta si ripercuotono sugli stati d’umore. Gli esperti consigliano di spegnere i propri device un’ora prima di andare a letto e ripristinare la cara vecchia sveglia: il cellulare non dovrebbe mai entrare nella camera da letto.
3) Stringere legami
Se mai fosse stato necessario dimostrare che la latitudine influenza gli stati d’animo, danesi e norvegesi erano già sulla strada giusta. Chi altro poteva inventare il concetto di “Hygge”? In entrambe le lingue, infatti, il termine si riferisce a una forma di vicinanza, un misto di sicurezza, affetto e benessere. “I rapporti umani positivi hanno un fortissimo potere sul nostro umore: come persone, infatti, ci nutriamo di affetto. La vicinanza di una persona amata, il poter parlare con un amico in modo profondo, il contatto fisico, sentirsi accolti e non giudicati, sono tutti aspetti capaci di farci stare bene”, conferma il dottor Matteo Monego, psicologo e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale di Milano e collaboratore del Comitato di GuidaPsicologi.it. Per rispondere alla tristezza, dunque, creare occasioni di conviviali contribuisce a invertire la rotta sulle emozioni negative. “Passare del tempo insieme rinforza i legami perché la nostra mente si abitua sempre di più alla presenza dell’altra persona e la conosce anche attraverso canali diversi dalla razionalità, rafforzando i legami più profondi, istintivi, basati sulla parte emotiva”. Come i nostri antenati nella caverna, c’è da scommettere.