Una giovane vita spezzata perché da un anno e mezzo era diventata un incubo. Conosciamo tutti la storia di Tiziana, che ha deciso di farla finita perché non poteva più sopportare l’imbarazzo e gli insulti successivi alla diffusione di alcuni video hard dei quali era la protagonista.
Trattandosi di un argomento piuttosto complesso, con importanti aspetti psicologici e sociali di cui tener conto ma ai quali troppo spesso non si fa riferimento, abbiamo deciso di parlarne con il dottor Matteo Monego.
- Suicida a 31 anni per la diffusione di video hard dei quali era la protagonista. È lecito descriverla come una tragedia “causata” dalla vergogna? Come possiamo definire questo disagio? Può essere così forte?
Direi che la premessa necessaria deve essere la seguente: quello che abbiamo letto è solo quello che è stato scritto e non è detto che rispecchi del tutto la realtà.
Fatta questa doverosa premessa, direi che in questo caso il suicidio può essere stato causato dalla vergogna. Credo che la complessità di questo episodio consista nel fatto che la ragazza sia stata inizialmente consenziente e abbia lei stessa inviato i video ad alcuni uomini che l’hanno poi diffuso su internet: questo ha generato una sorta di odio nei suoi confronti e parole durissime sul web e nei media, parole francamente inaccettabili.
È una storia che si ripete e che interessa soprattutto le donne, sempre in bilico tra scelte sessuali “appropriate” e scelte sessuali “inappropriate”.
Credo che una persona, uomo o donna che sia, abbia il diritto di vivere la propria sessualità liberamente, ovviamente nel rispetto altrui, senza che questa venga raccontata ad altri e di conseguenza giudicata. Forse è questo il caso di un gioco sessuale che in qualche modo è sfuggito di mano: se anche la ragazza avesse avuto piacere a mostrarlo ad altri, che diritto avevano queste persone di diffonderlo in rete? Possibile che non avessero previsto il pericolo di un simile gesto?
A nessuno farebbe piacere se su internet fossero diffuse immagini o racconti delle proprie “perversioni”: un conto è la propria intimità, un altro è la dimensione pubblica.
Le persone, in genere, non si identificano con una propria perversione sessuale ma con qualcosa di socialmente accettabile (ruolo familiare, ruolo lavorativo, ecc..). Diffondere un video hard che riguarda una persona equivale a bollarla come tale, a cucirle addosso un ruolo come se non ci fossero più altre caratteristiche. Del resto basta leggere i commenti che sono stati destinata alla ragazza in questione per capire l’effetto ottenuto. Se poi parliamo di una personalità fragile o comunque attenta ai giudizi altrui, il passo verso il suicidio è molto veloce.
- Perché la provano soprattutto le donne? Forse, è difficile pensare che un uomo possa togliersi la vita per una ragione simile. Esiste effettivamente una differenza di genere?
Penso che il problema stia in quello che in qualche modo viene mostrato, nel tipo di immagine che emerge. Nel caso in questione per un uomo sarebbe stato differente perché il giudizio pubblico ne avrebbe esaltato la virilità, mentre nel caso di una donna ne è stata sottolineata una parte negativa e cioè la perversione. Detto in altre parole: una donna deve essere perversa ma in segreto altrimenti viene etichettata, un uomo deve essere virile e possibilmente vantarsene pubblicamente.
Non penso, comunque, che per un uomo sia così difficile arrivare a compiere un gesto simile: e se di un uomo venissero diffuse delle foto che sottolineano, ad esempio, una scarsa dimensione del pene? O prestazioni sessuali scadenti? Non sarebbe un’etichetta difficile da togliersi?
Il caso Marrazzo (allora governatore della regione Lazio), ritratto insieme ad un trans, non va forse in questa direzione? O gli innumerevoli ragazzi umiliati pubblicamente perché omosessuali?
- La mancanza della parità dei sessi in Italia, l’impostazione culturale del nostro paese e i giudizi nei confronti del gentil sesso possono essere ritenuti responsabili di tragedie come questa?
Assolutamente sì! Nella nostra società vige ancora molta ipocrisia e molta paura nei confronti delle donne e della loro apertura nei confronti della sessualità.
- Quale corto circuito, secondo te, causa la reazione estrema di una persona vittima di una pubblica derisione?
La sensazione di non potersi riappropriare della propria vita. E questa sensazione è più forte quando la persona vive in contesti culturalmente più arretrati e di piccole dimensioni (“il paese mormora…”).
- In tanti hanno scritto: «se l’è cercata». Vogliamo commentare quest’atteggiamento così frequente?
Non c’è molto da commentare: credo che la frase “stai girando il video, bravo!” che la ragazza sembrerebbe pronunciare in un video, abbia influenzato fortemente i commenti, dimenticando che un conto è essere consenziente nel farsi riprendere e un conto è esserlo nella diffusione pubblica delle immagini. Sono e devono rimanere due piani ben distinti.
- Eventi simili simboleggiano l’esistenza di tabù sul sesso?
Sì credo proprio di sì. Del resto il mondo è pieno di prostituzione ma quante sono le persone che si sentono libere di ammettere di concedersi del sesso a pagamento?
- Cosa avrebbe potuto fare Tiziana Cantone per superare questo momento di debolezza? Una terapia sarebbe servita?
Io credo che una richiesta di aiuto sarebbe stato un passo importante: non tanto per tamponare il proliferare di commenti volgari e di pessimo gusto ma soprattutto per fare un po’ di chiarezza in se stessa e trovare un equilibrio che, da quello che si legge, sembrerebbe non aver avuto. In terapia emergono spesso contenuti circa la propria sessualità che la persona fa fatica a inserire nel concetto di normalità. E questo aspetto è tanto più marcato quanto più si ha avuto un’educazione alla sessualità di tipo repressivo.
La sessualità è molto complessa e può assumere centinaia di sfumature: in questo campo ciascuno deve essere giudice di se stesso e non deve delegare nessuno a farlo al posto suo. Quello che in una società è bollato come perverso (nel senso volgare del termine) può non esserlo in un’altra.
Del resto basta pensare al concetto di nudità: per alcune culture è peccato o addirittura reato, in altre è normale e privo di connotazioni volgari e negative.