Tanti omosessuali nel mondo fanno fatica ad accettarsi per come sono. Il risultato di ciò è che spesso prediligono portare avanti una vita infelice, celando la propria identità e ingannando le persone circostanti. In alcuni casi posso arrivare a sviluppare un complesso d’inferiorità e sentimenti di disagio.
Nel tentativo di capire meglio perché si attivano queste genere di meccanismi, abbiamo intervistato il Dottor Matteo Monego.
Cosa s’intende per omofobia interiorizzata?
Per omofobia interiorizzata si intende un insieme di sentimenti negativi (sensi di colpa, disprezzo, rabbia, senso di inferiorità) che le persone omosessuali possono provare verso se stessi o altre persone con lo stesso orientamento sessuale. Può sembrare strano, ad esempio, che un uomo gay possa provare sentimenti simili verso se stesso: in fondo perché non dovrebbe accettare la propria omosessualità o quella altrui? Riflettendoci meglio credo sia evidente che, a differenza di una persona eterosessuale, debba convivere con una serie di pregiudizi, epiteti, discriminazioni che possono influenzarne la visione.
Il grado di omofobia interiorizzata varia da individuo a individuo e dipende da molti fattori tra cui quelli familiari (visione della famiglia verso l’omosessualità), socio – ambientali (ambiente sociale in cui è immerso un individuo), tratti di personalità e via discorrendo.
Quali sono le cause?
Le cause, come accennavo poco fa, vanno ricercate in quello che è il percorso educativo e di crescita di un individuo, che spesso lo porta ad accettare in modo consapevole o inconsapevole i pregiudizi tipici di una società omofoba e che colpiscono gli omosessuali: questo processo è in grado di cancellare una persona con le proprie caratteristiche individuali e di creare al suo posto uno stereotipo («i gay sono tutti effemminati», «le lesbiche sembrano tutte uomini»).
Anche se è da circa 40 anni che l’omosessualità ha cominciato a non essere più classificata come disturbo di personalità, è innegabile che rimangono ancora moltissimi pregiudizi nei confronti della stessa. Basti pensare a quante polemiche suscitano ancora argomenti quali i matrimoni fra persone dello stesso sesso o manifestazioni come il gay pride.
Del resto, difficilmente nel processo educativo di una persona trovano traccia sentimenti positivi nei confronti dell’essere gay o lesbica: in genere, nella migliore delle ipotesi, l’omosessualità viene taciuta e negata, altrimenti giudicata negativamente e condannata. Immaginate quali difficoltà e paure possono nascere nella mente di un ragazzo adolescente che avverte spinte emotive ed erotiche verso compagni dello stesso sesso…
Anche i mass – media hanno un ruolo importante contribuendo spesso a rimandare un’immagine negativa dell’omosessualità, come se un gay o una lesbica fossero frutto di una degenerazione morale e sessuale rispetto all’essere eterosessuale.
Come affrontare e risolvere questo problema?
Credo che il primo passo sia quello di prendere consapevolezza di questo problema e cercare di individuare tutti quegli aspetti (stereotipi, pregiudizi, ecc…) che la persona ha interiorizzato nel corso del tempo e che influenzano il suo modo di pensare e di vivere. Solo attraverso questo processo è possibile liberare il pensiero da questi fardelli e permettere al soggetto di vivere la propria sessualità in modo libero e sereno, il più possibile resistente agli attacchi del mondo circostante.
In questa direzione penso che siano fondamentali i coming out delle persone famose: in questo modo la società, attraverso la testimonianza di soggetti molto amati, riuscirà a comprendere e asd accettare l’omosessualità come possibile esito dello sviluppo sessuale degli individui.
Sarebbe importante che anche in settori considerati virili per eccellenza (calcio, rugby, ecc..) ci fossero dei coming out per spezzare finalmente l’identificazione virilità = eterosessualità.
Come terapeuta, cosa proponi?
Credo che nei casi in cui l’omofobia interiorizzata sia più forte e condizioni la vita personale e sociale dell’individuo sia importante chiedere aiuto e parlarne con una persona competente in grado di aiutare il soggetto a ritrovare una propria identità sessuale serena e libera da tutti gli stereotipi negativi con cui è venuto in contatto e con cui ha finito per identificarsi. In questo modo riacquisirebbe la capacità di sentirsi un essere umano con le proprie unicità e non più “qualcosa” di sbagliato e perverso.
È come se la persona avesse modo di riunificare la propria immagine privata e pubblica attraverso strategie in grado di superare la disapprovazione sociale e rinforzare la propria personalità finalmente libera (del tutto o quasi) dal senso di colpa.
Mi concedo, infine, una piccola digressione che nasce da vissuti di persone gay o lesbiche con un percorso di terapia alle spalle e che riguarda l’altra parte del percorso e cioè i terapeuti: io credo che il soggetto che si rivolge ad uno specialista per un problema simile abbia il diritto di sentirsi accettato in tutto e per tutto. L’omosessualità deve essere data per scontata e non studiata: ad essere studiata sarà la persona con la sua unicità e non le origini e le motivazioni della “scelta” omosessuale.
Assodato questo punto, di fondamentale importanza, una psicoterapia cercherà di superare l’omofobia interiorizzata attraverso l’analisi della persona con tutti i suoi bisogni, desideri, limiti e pregi.
Quanto è ricorrente e quali possono essere le conseguenze?
Credo che in generale sia abbastanza ricorrente, anche se le forme più profonde sono sicuramente più rare.
Un’omofobia interiorizzata profonda può comportare diverse conseguenze: dal punto di vista sentimentale e sociale porta la persona a privarsi di significative relazioni sociali e ad evitare quelle affettive significative; dal punto di vista personale, invece, causa una significativa diminuzione dell’autostima. Può provocare difficoltà negli studi e nel lavoro, e portare il soggetto a sintomi di ansia, depressione, dipendenze di vario genere (droghe, cibo, alcool), comportamenti sessuali rischiosi (sesso non protetto), pensieri e tentativi di suicidio.
Fare coming out non è così semplice, spesso si ha paura delle possibili reazioni della propria famiglia. È ciò che si evince da questo post sulla comunità di GuidaPsicologi: http://www.guidapsicologi.it/comunita/discussion/33/mio-figlio-e-gay-e-non-so-come-comportarmi. Ti andrebbe di commentarlo?
In questo post io credo di vedere, ahimè, la reazione che potrebbe avere la maggioranza di genitori che un bel giorno scoprono di avere un figlio gay.
Il primo pensiero, la prima domanda che si affaccia alla mente è:
«ma dove abbiamo sbagliato?».
Ancora una volta emerge l’immagine dell’omosessualità come malattia o comunque come deviazione sessuale da tenere nascosta. E ancora una volta ad essere più comprensive e tolleranti sono le donne, le madri che, seppur non approvando, si pongono almeno il problema della felicità del figlio. Negli uomini, in modo particolare verso un figlio maschio, è ancora fortissimo il concetto distorto di virilità, dell’uomo “cacciatore” di cui vantarsi con gli amici, del figlio che fa strage di donne.
Per quanto chiunque di noi condannerebbe questa madre, io penso che ci siano degli aspetti che vadano salvati. In fondo quella che emerge è la figura di una donna 40enne del sud Italia, immersa in una cultura bigotta e cattolica. Che strumenti ha per gestire una scelta sessuale che al tempo della sua nascita compariva ancora nei manuali psichiatrici?
E la volontà di tenere tutti all’oscuro non è forse un modo un po’ maldestro per tutelare il benessere sociale del figlio? Bisogna anche immaginarsi cosa vuol dire vivere nella realtà di Reggio Calabria che, con tutto il rispetto, non credo assomigli a quella di Barcellona o Londra. Sicuramente non è presente la stessa libertà. E per un uomo vivere apertamente la propria omosessualità è comunque molto, molto complicato.
Io stesso, immedesimandomi nel genitore a cui il figlio comunica la propria omosessualità, avrei qualche preoccupazione di tipo sociale: sarebbe bello raccontarci che la società è ormai aperta e disponibile ma la realtà è diversa. E la mia preoccupazione sarebbe tutta qui, su quanto liberamente potrebbe vivere la sua sessualità, su quante volte si sentirebbe insultare, su quanta fatica in più dovrebbe fare per convivere serenamente con il proprio compagno.
Spero con tutto me stesso che possa trovare tra qualche anno una società in cui ogni essere possa sentirsi libero di esprimere le proprie scelte senza venire condannato o discriminato per questo.